N° 38

 

GIOCHI PERICOLOSI

 

(PARTE PRIMA)

 

        

DESTINI INCROCIATI

 

Di Carlo Monni

 

 

1.

 

 

            Il sole che sorge conferisce una luce particolare alla terrazza dell’attico della Stark Tower, cosa a cui il proprietario dell’attico e dell’intero grattacielo sembra non prestare eccessiva attenzione.

            In realtà, mentre siede su una comoda poltroncina, con addosso una vestaglia da camera e sorseggiando un drink rigorosamente analcolico, Tony sta riflettendo su quanto è successo la notte precedente. Non sarebbe dovuto succedere, lo sa, ma non è stato abbastanza forte da impedirlo ed ora ne dovrà affrontare le conseguenze… e ce ne saranno. Già s’immagina cosa gli direbbe Pepper se sapesse (e non lo saprà, se dipende da lui) e non può darle torto.

            Sospira e con ancora il bicchiere in mano riapre la porta finestra per rientrare in camera. Sul grande letto matrimoniale Joanna Nivena Finch, nuda ed a malapena coperta da un lenzuolo giace ancora addormentata.

            È stata una lunga notte e la giornata che sta iniziando non sarà facile.

 

            La vista della figura rosso ed oro di Iron Man che sfreccia nei cieli è ormai abituale per gli abitanti della Grande Mela e solo i turisti ormai perdono tempo a fermarsi ed osservarlo sparire tra i canyon di vetro e cemento di una delle più grandi città del mondo. Se potessero seguirne fino in fondo il volo lo vedrebbero sparire dietro la Stark Tower e pochi di loro immaginerebbero che si è infilato in un tunnel ultrasegreto progettato appositamente perché l’uomo dentro l’armatura potesse raggiungere indisturbato il laboratorio privato di Tony Stark nel grande attico che ne costituisce l’abitazione. La cosa non è affatto strana, dopotutto, perché il nostro immaginario spettatore a questo punto vedrebbe Iron Man levarsi l’elmetto e rivelare proprio il volto di Tony Stark.

-Giuro che ho bisogno immediato di una doccia.- borbotta tra se l’industriale miliardario mentre si toglie il resto dell’armatura, che viene poi riposta in un’apposita nicchia nascosta in una parete.

            Indossando solo un paio di slip Tony raggiunge rapidamente il suo bagno privato e si tuffa sotto una corroborante doccia calda.

            Gli sembra di essere stato dentro l’armatura per settimane e non per meno di un giorno. Combattere una masnada di Eterni praticamente invincibili ed inventare sul momento un’arma capace di neutralizzarli[1] può fare quest’effetto, ammette, senza contare che, armatura o non armatura, sente ancora gli effetti dei colpi di Enili e Inanna.[2]

            Quando gli sembra che sia passato abbastanza tempo, chiude il rubinetto dell’acqua calda e si lascia investire da un getto d’acqua fredda.

            Una bella doccia gelata, ecco cosa ci vuole per calmare i tuoi bollenti spiriti, Tony, pensa e la cosa gli strappa una risatina.

            Esce dalla doccia, si asciuga per bene, poi si fa la barba (uno di questi giorni dovrebbe radersi il pizzetto e tornare solo ai baffetti… o magari no). Sta per uscire, poi ci ripensa: meglio mettere un accappatoio. Non si sa mai: magari una delle sue ospiti potrebbe decidere di entrare in camera sua proprio in quel momento e farsi venire delle idee e non è proprio il caso, non adesso.

            Che cosa aveva in testa, quando non solo ha concesso a Meredith McCall l’uso della stanza in fondo al corridoio, ma ha anche deciso di ospitare Joanna in “pausa di riflessione” dal suo matrimonio? Bella pausa di riflessione: hanno entrambi, come direbbero i romanzi rosa, ceduto alla forza della passione ed ora… già ora? Dopo più di una settimana Tony non ha ancora trovato una risposta valida a questa domanda e dubita che ne troverà una molto presto.

            Vestito, come sempre, in maniera inappuntabile Tony entra nel suo ascensore privato e preme il tasto del piano inferiore. Pochi istanti e le porte si aprono all’interno dell’appartamento di Virginia “Pepper” Potts, preziosa collaboratrice, amica fidata e molto di più. Oggi è il giorno della settimana che entrambi dedicano solo ed esclusivamente a stare insieme al figlio che hanno adottato insieme, Andy, un compito a cui solo una minaccia intergalattica potrebbe sottrarlo, pensa Tony.

            Mentre prende in braccio il bambino che anni prima ha aiutato a nascere e lo stringe a se, osserva Pepper e si chiede se davvero vede una luce di disapprovazione nei suoi occhi verdi o se è solo la sua paranoia a farglielo immaginare.

 

            Facciamo ora un breve salto indietro nel tempo e nello spazio, in una nazione africana chiamata Rudyarda, dilaniata dalla guerra civile ed al momento in cui James Rupert Rhodes, Presidente in pectore della REvolution, ed un mercenario di nome McKenna sono sbattuti dentro alla baracca del comandante di una delle fazioni in lotta in quel tormentato paese.

            Rhodey non conosce bene le lingue locali, anche se non è necessario un interprete per capire che stanno probabilmente negoziando un riscatto per la sua liberazione. Poco importa, perché la sua attenzione è attratta da qualcos’altro, qualcosa che si trova sopra un tavolo di legno, la sua valigetta 24 ore, sopravvissuta all’esplosione delle mine che hanno colpito la camionetta su cui viaggiava, la stessa che i miliziani devono aver preso pensando che contenesse chissà quali ricchezze. E contiene qualcosa di prezioso, infatti, ma non quello che credono o sperano loro. No: niente soldi. Lì dentro c’è la chiave per uscire vivi e senza pagare un centesimo e nel contempo dare una sonora lezione a questi macellai uccisori di bambini e violentatori di donne: l’armatura di War Machine. Ora se solo potesse avvicinarsi o se uno di quegli stupidi cercasse di aprirla senza conoscere il codice che ne disattiva le difese…

-Sei diventato sordo, tenente?- gli chiede McKenna –Ti sto parlando da un po’, ma direi che non mi stai ascoltando.-

-Scusa McKenna.- risponde Rhodey –Mi ero distratto. E non chiamarmi tenente, te l’ho già detto, non siamo più nei marines ormai.-

-Vedrò di ricordarmelo. Ti stavo solo dicendo che hanno già chiesto il riscatto ed aspettano solo che la tua società paghi.-

-Magnifico e poi compreranno altre armi con cui…-

            Rhodey s’interrompe di botto: ha visto un miliziano che sta cercando di scardinare la valigetta e se ci riesce…

-Giù!- urla buttandosi addosso a McKenna e finendo con lui sul pavimento della baracca.

Un boato, si leva dalla valigetta, seguito da un lampo di luce, mentre subito dopo del gas verdastro invade la baracca.

            Coprendosi bocca e naso Rhodey raggiunge la valigetta. A differenza degli altri lui sapeva cosa sarebbe successo e questo può fare la differenza. Vincendo un forte senso di nausea, e lottando contro un crescente stordimento l’ex ufficiale pilota dei Marines completa l’apertura della valigetta e senza perdere tempo s’infila l’elmo. Mentre dell’ossigeno fresco viene pompato nei suoi polmoni esausti, un comando cibernetico parte ed i componenti dell’armatura si assemblano rapidamente attorno a lui.

            Una volta completata la “vestizione” War Machine si muove verso il suo compagno di disgrazie. McKenna è svenuto, ma sta bene. Visto che era a terra, il gas ha avuto un effetto meno immediato. In tutti i casi si tratta di un composto del tutto innocuo… a parte l’effetto soporifero.

            Con una gentilezza di cui pochi, vedendolo, lo cederebbero capace, War Machine afferra l’amico e lo solleva delicatamente, poi, con un poderoso calcio, abbatte la porta della baracca

            Per qualche istante i miliziani all’esterno restano a guardare sbigottiti, poi cominciano a sparare. Il loro bersaglio non se ne cura, decolla incurante dei proiettili che s’infrangono o rimbalzano sulla sua corazza, mentre lui ha cura di proteggere col proprio corpo corazzato lo svenuto McKenna.

Raggiunge un avvallamento poco lontano e ci lascia McKenna ancora svenuto, poi si volge verso l’accampamento da cui è appena scappato.

<<Molto bene…>> dice <<… adesso è ora di fare sul serio.>>

            War Machine riprende il volo ed atterra nel mezzo dell’accampamento.

<<Ora fate pure del vostro peggio.>> li sfida.

 

 

2.

 

 

           

            Oggi per Tiberius Stone, fondatore e Presidente della Alchemax, una delle più importanti aziende chimiche del paese è stata una mattina di lavoro abbastanza ordinaria. Nonostante sia ancora abbastanza giovane, la sua società, nata dalle ceneri della divisione chimica della Roxxon, è presto diventata competitiva, grazie anche al fatto che Stone impiega nei suoi laboratori i migliori talenti del ramo, per non parlare del fatto che lui stesso è una specie di genio. Nell’ingegneria, il suo campo naturale, ha un istinto ed una capacità che in molti considerano seconda ad un solo uomo e la cosa non gli va giù, perché lui odia quell’uomo ed ha giurato di distruggerlo e portargli via ogni cosa che ha valore per lui.

            L’ironia è che un tempo lui e Tony Stark erano ottimi amici e la loro rivalità negli studi era nient’altro che quella benevola e benefica di due amici che giocano a superarsi l’un l’altro. Questo era prima che il padre di Tony rovinasse finanziariamente il padre di Tiberius e lo stingesse al suicidio, cosa che portò la madre di Tiberius dritta in un ospedale psichiatrico. Certo: quell’ipocrita di Howard Stark si era offerto di pagare gli studi al giovane ed anche di garantirgli una sostanziosa rendita, ma lui aveva sprezzantemente rifiutato, giurando vendetta.

            Gli ci erano voluti anni, ma alla fine era riuscito a ridiventare ricco e con la ritrovata ricchezza si era accompagnata una non comune capacità di guadagnare influenza e potere nei posti giusti.

Nel frattempo, però, Howard Stark e sua moglie erano morti. Non aveva importanza: c’erano altri Stark su cui vendicarsi, primo fra tutti Tony.

Solo una sfacciata dose di fortuna e, deve ammetterlo, di abilità non comune, ha finora permesso a Tony di sventare i suoi piani di impadronirsi di tutti i suoi beni. Non importa, perché la partita non è ancora finita e non lo sarà finché anche una sola pedina sarà in piedi sulla scacchiera.

-Sempre immerso in cupi pensieri e complicati piani? Secondo me, dovresti imparare a rilassarti e divertirti.-

            A parlare è stata una giovane donna dai lunghi capelli neri, a parte alcune ciocche bianche, che indossa un vestito rosso scarlatto… il colore preferito di Justine Hammer, vice Presidente della Alchemax e figlia (da chissà quale moglie) di Justin Hammer, il potente finanziere britannico che è il suo socio di minoranza.

            Dal padre Justine ha ereditato il talento per gli affari ed un’assoluta mancanza di scrupoli, per non definirla amoralità vera e propria. È anche una gran bella donna e la cosa non guasta. Dopotutto Tiberius Stone deve ammettere che l’interesse per le belle donne è un’altra cosa che condivide con Tony Stark.

-Oh, io so come ci si diverte, cara Justine...- replica avvicinandosi a lei -… e credo di avertelo dimostrato ampiamente o sbaglio?-

            Se i cobra sorridessero avrebbero sicuramente l’espressione di Justine Hammer. Stone prosegue.

-Quanto ai piani… ammetto che non smetto di pensare ai modi di rovinare Tony Stark, ma questo non mi distrae certo dai miei altri interessi. In questo non credo di essere molto diverso da tuo padre, sbaglio?-

 -Non saprei. Di certo io non sono ossessionata quanto lui da Tony Stark e dalla sua guardia del corpo in armatura.- replica Justine -Anche se ammetto che mi piacerebbe provare almeno una volta se è davvero così bravo sotto le lenzuola come dicono le leggende.-

            Stone si fa scappare un sogghigno.

-Forse un giorno avrai modo di verificarlo, chissà…- ribatte -… non sarò certo io ad impedirtelo.-

-E non saresti nemmeno un po’ geloso?-

-E perché mai? Del resto potrei davvero impedirti di fare quello che vuoi… se lo vuoi davvero?-

-No… neanche mio padre c’è mai riuscito. Quello che voglio, se lo voglio abbastanza, prima o poi è mio… o non è di nessun altro. Ma è lo stesso per te, giusto? Per questo ci siamo intesi perfettamente fin dal primo momento.-

            Già, pensa Stone, ed andremo sempre d'’accordo... almeno finché mi guarderò le spalle per evitare il pugnale che ci infileresti senza esitare se solo lo trovassi conveniente.

 

            Rumiko Fujikawa deve ammetterlo: il parco di Villa Stark è uno dei più belli che abbia mai visto, almeno da quando è in America. Non ha ancora capito quanto è grande la tenuta, ma crede che ci voglia almeno un giorno a cavallo, prima di percorrerla tutta. Tony è stato sciocco a farsela sfuggire, quando lo credevano morto[3] e suo cugino Morgan molto sveglio ad assicurarsela. Parlando di Morgan Stark, eccolo proprio dietro di le. La lunga cavalcata non l’ha affatto stancata e la giovane giapponese salta a terra con agilità, mentre il suo accompagnatore se la prende più calma.

-Mi sono davvero divertita.- commenta Rumiko.

-Ti capisco.- le risponde Morgan con un tono un po’ burbero –Ora, però, sarà il caso che partiamo per New York, il lavoro ci aspetta.-

-Non preoccuparti, sono una ragazza coscienziosa, come si conviene alla tua Vice Presidente Esecutiva. Prima, però, è meglio fare una doccia. Ti va di farmi compagnia?-

            Una parte di Rumiko si vergogna del suo modo di fare, ma ormai ha imparato a far tacere i suoi scrupoli al riguardo. Ha delle ambizioni e Morgan Stark è l’uomo adatto per aiutarla a soddisfarle, il resto non conta… o almeno è quello che lei continua a dirsi.

            Quanto a Morgan Stark, se è consapevole di essere usato dalla sua socia giapponese, non lo dà a vedere troppo: anche lui ha le sue ambizioni in fondo.

 

             War Machine si guarda intorno: è circondato da uomini armati, ma non se ne da peso. Il suono della sua risata filtrata dal modulatore vocale elettronico è inquietante. Poi risuona la sua sfida:

<<Ve l’ho detto: fate pure del vostro meglio… o del vostro peggio, non ha importanza. Che aspettate?>>

            I suoi avversari non se lo fanno ripetere un’altra volta e cominciano a sparare. War Machine rimane immobile, mentre i proiettili s’infrangono sulla sua corazza o rimbalzano ferendo addirittura i miliziani stessi.

<<Patetici.>> è il solo commento dell’uomo nell’armatura nero-argento. <<Sorprendente che ci sia ancora qualcuno in giro che crede che possa funzionare.>>

            Un miliziano aziona un lanciarazzi ed un missile di tipo stinger colpisce War Machine in pieno… facendolo cadere qualche metro più indietro.

<<Ecco, adesso cominciamo a ragionare. Ma non è ancora abbastanza per fermarmi.>>

            Si rialza in piedi ed ecco che da speciali rientranze nelle sue spalle escono due piccoli cannoncini.

<<Scommettiamo che io so fare di meglio?>>

            Dai cannoncini partono due proiettili apparentemente molto piccoli, ma quando esplodono mostrano una potenza devastante.

            War Machine Avanza continuando a sparare. Dai suoi guanti emergono due mini bocche da fuoco che usa per parare verso le sue ali.

<<Vi piace la violenza? Vedremo se vi piacerà ancora dopo che avrò finito con voi.>>

 

 

3.

 

 

            I Cinesi amano ancora chiamarla Mongolia Esterna, per differenziarla dalla loro provincia che chiamano Mongolia Interna e fanno finta di dimenticarsi che non furono loro a conquistare la Mongolia, ma i Mongoli di Gengis Khan a conquistare al Cina, oltre a buona parte dell’Asia.

            Queste, però, sono storie del passato e non avrebbero alcun interesse se non fossero in qualche modo collegate ad uno dei protagonisti di questa storia.

            C’è una fortezza tra le impervie montagne oltre il confine cino-mongolo, in una zona dove gli usi e costumi di chi ci vive sono ancora gli stessi di secoli fa, quasi del tutto intoccati dalle meraviglie dell’era moderna. Se lo chiedete ai pochi pastori erranti del luogo, alcuni vi diranno che la fortezza è sempre stata lì ed altri giureranno che è sorta in una sola notte, come se la mano invisibile degli dei stessi l’avesse tirata su, pietra su pietra. Tutti, però, vi diranno che non è salutare superare gli ostacoli naturali e raggiungere la fortezza e di temere la collera del suo padrone: lo stesso uomo dai lunghi capelli neri ed i baffi spioventi i cui occhi guardano severi coloro che sono arrivati alla sua presenza. I suoi lineamenti, il taglio dei suoi occhi, il colorito della pelle lo identificano indubbiamente come cinese, ma c’è qualcosa di indefinibile in lui e non è dato solo dall’alta statura, che si nota anche se attualmente è seduto, ma anche dall’indefinibile colore dei suoi occhi, che sembra variare dal nero al blu dandogli uno sguardo che sarebbe da solo sufficiente a mettere in soggezione chiunque… compresi coloro che ora sono di fronte a lui e si stanno inchinando sin quasi a terra.

-Grande e potente Mandarino, i tuoi umili servi ti chiedono udienza.- dice uno dei tre uomini appena giunti.

            Colui che è stato chiamato Mandarino si solleva in piedi. Il suo volto esprime fastidio, solleva la mano destra, ad ogni dito della quale c’è un anello colorato, esattamente come alla sinistra, e parla con tono è sprezzante:

-Lascia perdere le cerimonie, Yang, che notizie mi porti?-

-Le migliori, mio signore: la prima fase dell’esperimento ha raggiunto i risultati voluti ed ora siamo pronti a passare alla seconda fase.-

-Perfetto! Sapevo che sarebbe accaduto. Presto il Mondo intero sentirà il peso del potere del Mandarino ed io gusterò anche il piacevole sapore della vendetta sul mio più odiato nemico e tutti i suoi alleati.-

 

Ormai è chiaro: War Machine è deciso ad andare fino in fondo con i ribelli e se non si danno da fare subito per loro sarà fine certa. Ma cosa possono fare? Al loro comandante, appena risvegliatosi ed ancora un po’ intontito a causa del gas, basta la vista della furia in armatura per schiarirsi il cervello.

-Usate i missili!- ordina.

-Ma signore… dovevamo usarli contro…-

-Se non uccidiamo l’americano, non potremo fare più niente contro nessuno, non lo capisci questo? Obbedisci subito!- mentre il suo soldato corre a dare l’ordine il comandante borbotta –Uno di quei maledetti supereroi americani. Non aveva niente di meglio da fare che rompere le scatole qui?-

            Il rumore dl missile che parte non sfugge War Machine.

<<Oh, oh… cominciamo ad usare i grossi calibri. Quello potrebbe far male sul serio. Vediamo quel che si può fare.>>

             L’eroe in armatura si solleva in volo e dietro di lui lo segue la pesante sagoma del missile.

<<Il meglio che il mercato nero può offrire, vedo.>> commenta War Machine <<Alta tecnologia. Una volta che ha puntato il bersaglio non lo molla. Quegli idioti erano disposti a farlo esplodere nel mezzo del loro campo pur di farmi fuori, senza pensare a quanti di loro ci sarebbero rimasti. Dovrei… no, sarò buono… per adesso.>>

            Con una serie di evoluzioni War Machine continua a mantenere la distanza dal missile, poi punta deciso verso il punto che cercava: la postazione fissa dei missili a lunga gittata.

<<Perfetto.>> commenta e si potesse vedere la sua faccia si vedrebbe un poco rassicurante sogghigno. Poco rassicurante per i suoi avversari, ovviamente.

            War Machine si tuffa incurante dl fuoco di sbarramento. Giù, sempre più giù, poi, all’ultimo secondo, fa una veloce impennata verso l’alto. Troppo veloce per il missile che l’insegue e che piomba sul bersaglio senza lasciare scampo.

            L’esplosione è assordante e l’onda d’urto spazza via tutto quello che trova sul suo cammino, poi quel piccolo inferno si placa. Il comandante dei ribelli mette fuori la testa dal suo rifugio e vede solo una densa nuvola di fumo e da essa un forte rumore cadenzato, poi il fumo si solleva lentamente e lascia apparire la torreggiante figura di War Machine.

 

            Nel suo laboratorio alla REvolution, Tony Stark dà un’ultima occhiata al suo attuale progetto: un’ulteriore miglioria all’armatura di Iron Man e War Machine.

-Ecco fatto.- commenta tra se e se –Questo dovrebbe migliorare l’efficienza delle celle solari del 50%. Pochi immaginano quanta energia ci vuole per far funzionare l’armatura. Dopo quel che ha passato Rhodey ultimamente…-

-Parli sempre da solo Tony? Brutta abitudine.-

            A parlare è stata una delle pochissime persone con accesso diretto al laboratorio: Pepper Potts, che è appena entrata chiudendosi poi la porta alle spalle.

-Ciao Pep… No, non parlo spesso da solo, ma quando sono soddisfatto del mio lavoro mi capita.

-Sempre l’armatura. Sai… ne avevo paura un tempo… e dell’uomo che c’era dentro… prima di sapere chi fosse.

-E adesso?-

-Vuoi la verità? Non lo so. Ti voglio bene, Tony, e so che sei una brava persona, ma a volte… solo a volte, temo che tu stia cercando deliberatamente l’autodistruzione… e questo sì, mi fa paura.-

-Si. A volte ho questa paura anch’io. Per fortuna che posso contare che tu mi mantenga in riga.-

            Pepper gli sfiora il volto con una carezza.

-Vorrei esserne davvero capace, ma con te non è facile… non lo è mai stato.-

-Pepper… io…-

            Una voce dall’interfono interrompe i suoi pensieri:

<<Mr. Stark, lei e la signora dai capelli rossi che indubbiamente è in sua compagnia siete desiderati nell’ufficio del Presidente appena siete comodi.>>

-Arrivo subito Mrs. A, grazie.- risponde Tony.

 -Sempre efficiente la cara Mrs. Arborgast.- è il commento di Pepper –E pensare che una volta avevo io il suo lavoro. Ma ero come lei?-

-Solo a volte, Pep, solo a volte.- risponde Tony sorridendo -Su, andiamo, prima che la Arborgast sguinzagli i mastini.-

            I due escono chiudendo la massiccia porta d’acciaio e lasciandosi alle spalle due luccicanti armature: una rossa ed oro e l’altra nera ed argento.

 

 

4.

 

 

            Paura: questo è ciò che prova il comandante dei ribelli. Quel genere di paura che ti rende come una statua, incapace di muoverti, mentre qualcosa di tremendo sta per piombarti addosso, finché non è troppo tardi perfino per tentare una reazione.

            Il comandante ed i pochi uomini rimasti con lui osservano War Machine venire verso di loro, odono il rumore dei suoi passi ed è solo allora che fanno l’unica cosa possibile… scappano.

            O almeno ci provano, perché il comandante si ritrova preso per la collottola e sollevato in aria.

<<Ora io e te faremo una bella chiacchierata sul tuo cosiddetto esercito, sui suoi capi, su dove prendete le armi e come arrivano qui. Tu parlerai o le conseguenze per te saranno molto gravi.>>

-Non… non mi spaventi.- replica il comandante con ritrovato coraggio -Tu non mi torturerai od ucciderai. Voi supereroi non fate queste cose, lo so.-

            Senza dire una parola War Machine lo lascia andare e l’uomo precipita urlando verso il suolo lontano. Pochi istanti dopo il guerriero in armatura gli si precipita dietro, lo raggiunge e lo afferra, quando è ancora lontano dal suolo.

<<Non sei così ben informato quanto credi.>> dice mentre riprende quota <<Io non sono un supereroe. Se seguissi i notiziari sapresti che nella mia patria sono ricercato per danneggiamento, attentati vari e tentato omicidio. Non avrei troppi scrupoli, puoi credermi a vederti spiaccicare al suolo se credessi che non mi puoi essere utile o… a farti di peggio. La scelta è soltanto tua. >>

-Tu… tu stai bluffando.-

<<Se lo pensi davvero… allora vedi il mio bluff.>>

            Solo il silenzio risponde a War Machine e lui…

<<Bene, la scelta è tua, allora.>>

            Una mano ricoperta da un guanto di metallo nero si muove, il palmo è puntato contro il volto del comandante, un sottile ronzio segnala che il repulsore sta per essere azionato.

-No!- grida il comandante –Ti dirò tutto quello che vuoi sapere.-

            Pochi attimi dopo War Machine atterra e lascia andare il comandante, che tremante scappa… ma non va troppo lontano: un proiettile sparato con mano sicura lo abbatte a metà corsa.

-Mai lasciare le cose a metà. Certi conti vanno chiusi subito.-

            War Machine si volta e vede il suo vecchio commilitone McKenna con in mano una delle armi lasciate dai ribelli. Doveva immaginare che una volta risvegliatosi non se ne sarebbe rimasto buono buono al riparo. Non è che così che ti addestrano nei Marines.

<<Perché l’hai fatto?>> lo apostrofa War Machine <<Ormai non era un pericolo per nessuno e tu l’hai colpito alle spalle.>>

 -Non fare lo scandalizzato amico.- dice McKenna rivolto a War Machine –Questa è zona di guerra dopotutto ed in guerra non c’è posto per le tenerezze. Nemmeno lui ne avrebbe avute con te. Puoi scommetterci la tua armatura lucente da svariati milioni di dollari che appena si fosse messo in contatto con i suoi gli avrebbe immediatamente rivelato che War Machine altri non è che il suo ex ostaggio, Jim Rhodes. Non lo credi anche tu… tenente?-

<<Cosa?>>

-Oh, fai pure il finto tonto, se vuoi, ma non ci vuole un genio per fare due più due dopo la tua apparizione qui e quel che è successo prima nella baracca. Anche lui c’era arrivato, lo sai.-

<<Quello che hai detto, anche se fosse vero, non giustifica l’omicidio a sangue freddo…>> replica War Machine <<… altrimenti ora io sarei autorizzato ad ucciderti per proteggere il mio segreto, non credi?>>

-Ma non lo farai, lo sappiamo entrambi. Invece ti accontenterai di aver posto fine alla mia carriera di contrabbandiere e mercenario in questo strazio di paese e mi riporterai alla civiltà. Chissà, magari prima o poi ci ritroveremo in Angola o nel Darfur… od in uno di quegli altri posti dove i venditori di morte e le organizzazioni umanitarie hanno sempre un sacco da fare.-

<<O forse ci rivedremo al tuo funerale, ci hai pensato?>>

-Prima o poi capita a tutti… tenente.-

<<Non chiamarmi mai più tenente. Ed ora tienti stretto… sarà un viaggio lungo e scomodo.>>

            Ed il viaggio verso casa comincia.

 

            Jim Rhodes si riscuote dai ricordi all’ingresso nel suo ufficio dei suoi più fidati amici e collaboratori. Ha sempre pensato che rimuginare sugli eventi passati fosse solo una di tempo, ma sente di aver lasciato degli affari in sospeso in Rudyarda ed è una cosa che non gli piace. Con le informazioni ottenute e prontamente passate a Rebecca Bergier non solo ha smantellato una rete di contrabbandieri, ma ha dato anche alla Sezione diritti umani della Fondazione Stark un’opportunità d’oro di intervenire. Non è ancora abbastanza, ma è qualcosa, un pensiero consolante.

            Saluta Tony e Pepper appena entrati e fa un cenno del capo alla responsabile della sicurezza, Bethany Cabe sorride al suo Vice Presidente Esecutivo, nonché suo sostituto temporaneo, nonché sua futura moglie, Rae Lacoste, e si rivolge a Bambi Arborgast, Capo del Personale ed efficiente Segretaria Esecutiva:

-Chiuda la porta Mrs. A e si sieda.-

            La donna scuote il capo ed emette una specie di brontolio, mentre esegue l’ordine.

-Che sta succedendo Rhodey?- gli chiede Tony.

-Ho appena ricevuto una comunicazione diretta a noi tutti.- risponde, cupo, Rhodey –Ci invitava ad essere qui a quest’ora per sentire qualcosa di molto interessante… ed ho l’impressione che chiunque ci sia dietro, non stia affatto scherzando.-

 

            Dall’altra parte della baia, sul promontorio di Flushing, Queens, sorge il complesso industriale della Stark-Fujikawa. Nell’ufficio del Presidente Morgan Stark sono riuniti i suoi massimi dirigenti, che il caso vuole siano in massima parte donne, come Rumiko Fujikawa, la Vice Presidente Scienze e Tecnologia Sunset Bain e la responsabile della sicurezza, la cino-americana Ling McPherson.

            Morgan li osserva tutti in silenzio, poi si rivolge loro con tono grave:

-Ho ricevuto un messaggio via internet, con cui mi si diceva di convocare i dirigenti e collegarmi a quest’ora. Confesso che all’inizio credevo fosse uno scherzo, ma c’era qualcosa... ed alla fine ho deciso di dargli retta.-

-Un messaggio? Di chi e su cosa?- chiede Ling.

-Onestamente non lo so. Ecco abbiamo anche il collegamento con la sede giapponese, ora possiamo partire.-

 

 

5.

 

 

            In due diversi uffici eccheggia quasi contemporaneamente una voce alterata elettronicamente:

<<Se mi state ascoltando, questo significa che avete preso il mio messaggio sul serio. Molto bene, perché sia chiaro a tutti voi che non stavo scherzando. In questo stesso momento i vostri diretti rivali dal lato opposto della Baia di Flushing stanno ascoltando la mia voce e tutti vi state chiedendo chi sono e cosa voglio…>>

            Ha mandato lo stesso avvertimento anche a Morgan, riflette Tony, ma perché? E la sua voce… nonostante il mascheramento ha qualcosa di familiare… il modo in cui parla…

            Nell’ufficio di Morgan Stark, Ling McPherson sta riflettendo. Come investigatrice è abituata a notare certi particolari ed anche se la voce non ha ancora proferito vere minacce, in qualche modo lei è sicura che lo farà.

            La voce continua:

<<Chi sono non è ancora il momento che lo sappiate, quanto a ciò che voglio, lo saprete prestissimo, invece. Vi consiglio di affacciarvi alle finestre ed osservare cosa accadrà tra meno di cinque minuti. Per ora non ho altro da dirvi. Quando tutto sarà finito, coloro tra voi che saranno ancora in vita si chiederanno perché ho fatto quello che ho fatto. La risposta è semplice: perché posso e lo voglio. Vi saluto signori. Avete ancora tre minuti, vi consiglio di usarli bene.>>

            La voce cessa e per un attimo in entrambi gli uffici regna il silenzio e nessuno si muove, poi tutti si alzano e corrono alle finestre e vedono qualcosa che si avvicina apparentemente volando, qualcosa di indistinto che si fa sempre più vicino.

-Cos’è, un uragano?-

-Qui? Non è possibile.-

-Sembra uno stormo di uccelli.-

-No: è uno sciame… cavallette?

-Api?-

            Siamo attaccati da Swarm? Si chiede Tony, poi lo sciame si fa ancora più vicino ed è chiaro che la nube non ha una forma. Un attimo sembra qualcosa di compatto e subito dopo si spezza in entità più piccole, per poi ricomporsi ancora.

-Cosa diavolo è?- chiede Pepper

-Vorrei saperlo, davvero.- risponde Tony –Ma ancora…-

            Improvvisamente il nero sciame cala. Ora tutti capiscono quanto è grande. Si stende per entrambi i lati della baia, poi si spezza ed i due tronconi prendono due direzioni separate. Uno di essi si abbatte sulla Stark-Fujikawa ed è allora che comincia l’orrore.

            Le persone all’esterno si agitano improvvisamente, poi tra urla atroci si… sciolgono. La pelle, la carne, le stesse ossa sembrano liquefarsi in pochi secondi.

-Li stanno mangiando vivi.- commenta Sunset Bain con un tono asettico, da scienziato.

            Morgan trema. Risente le parole: “… coloro tra voi che saranno ancora in vita…”

            Osserva la gente fuggire, ma è troppo tardi. Qualunque cosa sia ciò che li ha attaccati non da scampo a nessuno. Contemporaneamente anche gli oggetti subiscono lo stesso destino disintegrandosi letteralmente.

Distruggono i legami molecolari, riflette Sunset, e sono quasi scomparsi, come se fossero stati assorbiti da ciò che poi disfanno… ma come?

A non molta distanza Tony Stark sta giungendo alla stessa conclusione.

-Sono nanomacchine!- esclamano praticamente all’unisono sia Tony che Sunset Bain, ignari l’uno dell’altra.

-Cosa? Esclama Rhodey –Perdona la mia ignoranza Tony, ma di che diavolo stai parlando?-

-In breve: microrobot, grandi da un milionesimo di millimetro in giù, con applicazioni in campo medico ed altri. Questi sembrano concepiti per attaccare i legami molecolari della materia.-

-Grazie della spiegazione.- interviene Bethany Cabe –Ma questo a che ci serve? Stanno uccidendo gente, distruggendo tutto quello che incontrano e mi sa che alla Stark-Fujikawa non se la passano meglio.-

-Avete notato che stanno alla larga dagli edifici… e da questo in particolare? Perché?

-Tony… interviene Pepper -… tu sei l’unico tra noi che può fare qualcosa. Forse se corri nel tuo laboratorio…-

Tony capisce il sottinteso. Scambia un rapido sguardo con Pepper e Rhodey e corre via. Bethany si volta a guardarlo finché non scompare nel corridoio.

 

            Nulla sembra essere risparmiato: la gente sembra letteralmente mangiata viva, auto, macchinari e molto altro sembrano letteralmente sciogliersi. Solo gli edifici sembrano risparmiati.

            Che queste nanomacchine abbiano una qualche limitazione col cemento e la pietra? Non è certo impossibile, ma resterebbe da chiedersi perché il loro creatore non abbia pensato a superare questa limitazione.

            Questi pensieri passano rapidamente nella mente di Tony Stark, mentre, nei panni metallici di Iron Man, vola sopra il complesso REvolution. Mettersi un’armatura per affrontare qualcosa che mangia metallo ed esseri umani probabilmente non sembra una grande idea. Se quelle cose lo attaccano, lui non avrà scampo, ma gli è sembrato comunque l’unico modo per osservare le cose da vicino.

            Regna una calma spettrale, quando atterra ed i suoi passi pesanti risuonano nel vuoto. Nulla di vivo è rimasto e quasi niente di integro a parte gli edifici. Qualsiasi persona o cosa che si trovasse all’aperto è stata attaccata e distrutta. L’armatura è completamente schermata: quelle cose non possono penetrare, ma possono attaccare l’armatura e lui ha solo un modesto campo di forza che richiede parecchia energia per funzionare.     

Lo sciame sembra scomparso. Forse dovrebbe andare a controllare cosa sta succedendo alla Stark-Fujikawa: se Philip o Morgan… no, non deve nemmeno pensarlo.

             

            Alla Stark-Fujikawa lo scenario è pressoché identico. Tony vola sopra quel luogo che conosce così bene e sente una profonda tristezza. Cerca di scacciare i suoi peggiori timori, ma altre cose attirano la sua attenzione: è rimasto un piccolo sciame, composto probabilmente da miliardi di nanomacchine “affamate”.  

Per quello che ad Iron Man sembra un tempo lunghissimo lo sciame lo fronteggia, vola intorno a lui, poi… si disperde, svanisce semplicemente nel nulla.

Non capisco, pensa Tony, perché non ha nemmeno tentato di attaccarmi? Improvvisamente si accorge che dal basso una figura sta cercando di attrarre la sua attenzione: si tratta di un uomo rivestito di quella che sembra una tuta anti contaminazione. Tony scende ed atterra davanti a lui.

<<Sono il Dottor Hawkins del laboratorio scientifico.>> si presenta, l’uomo, che parla attraverso un microfono, visto che la sua tuta è completamente isolata.

            Robert Hawkins? Tony lo conosce di fama: uno dei giù brillanti ed eccentrici ingegneri della Nazione.

<<Cosa sta cercando di fare, dottore?>> gli chiede.

<<Sto cercando di capire se quelle nanomacchine sono ancora attive.>> risponde Hawkins e se è sicuro per la gente uscire all’aperto.>>

<<Mi sembra un’ottima idea. Mi permetta di aiutarla.>>

            Iron Man usa tutti i mezzi della sua armatura per sondare l’area e poi...

<<Nessuna traccia. Se ci sono ancora nanomacchine dovrebbero essere ormai inattive. Devo anche dire, che data la loro scala, i miei strumenti potrebbero anche non rilevarli.>>

<<In genere Tony Stark crea strumenti precisissimi.>> replica Hawkins <<Immagino, però, che ci sia un solo modo per scoprire se è davvero tutto a posto.>>

            Hawkins inizia a togliersi il caso ed Iron Man esclama:

<<Aspetti! Non…>>

            Troppo tardi: Robert Hawkins si toglie il casco e respira a pieni polmoni.

-Ah, aria, finalmente!- esclama –Magari non troppo pura, ma pur sempre aria.-

<<Bene… ora mi scusi, dottore, ma ho alcune cose da controllare.>>

            Volando rapidamente via, Tony raggiunge gli uffici direttivi, dove trova un bel po’ di gente, apparentemente in buona salute, anche se scossi e spaventati. Tra questi c’è anche Morgan Stark. Forse non corre buon sangue tra Tony e suo cugino, ma lui è comunque felice che stia bene. Non vede Philip Grant tra i presenti e si rivolge a Ling McPherson:

<<Il ragazzo… il figlio di Stark… che ne è di lui?>>

-Era nel suo ufficio a giocare coi suoi computer.- risponde Ling –Non è certo uscito a vedere cosa stava succedendo, credimi.-

<<Meglio così. E voi? State tutti bene?>>

-Abbastanza.- risponde Morgan –E mio cugino?-

<<Sta bene. Credo che a quest’ora sia già impegnato a capire chi ci ha fatto questo e perché.>>

-Me lo posso immaginare.- interviene Sunset Bain –Io sto facendo lo stesso. Portagli i miei saluti quando lo vedi.-

            Iron Man resta silenzioso e punta lo sguardo sulla donna dai capelli rossi e dal cuore nero, poi…

<<Non mancherò di farlo.>> risponde <<Ora scusate, ma temo di dover andare.>>

-Aspetta!- lo ferma Morgan –Quando vedi mio cugino, dagli questo… per favore.-

            Iron Man prende istintivamente il cartoncino che Morgan Stark gli porge, lo osserva per un istante e poi risponde:

<<Non mancherò di farlo. Ed ora, signori e signore… arrivederci.>>

            E riprende il volo, lasciandosi alle spalle molte domande e quasi nessuna risposta.

 

 

EPILOGO UNO

 

 

            La vista di Tony Stark insieme a due donne non sarebbe strana per nessuno e nemmeno vederlo con tre. Il fatto che le tre donne siano anche le madri dei suoi tre, figli farebbe probabilmente la gioia dei settimanali scandalistici e Tony è abbastanza certo che un bel po’ di paparazzi sia appostato in giro. Chissà cosa dirà Howard Finch nel vedere foto di sua moglie con lui. Se poi sapesse… No, meglio non stare a pensarci troppo, già gli sembra di vedere sguardi fin troppo freddi di Pepper verso Joanna. Certo, tutte e tre le donne hanno fatto del loro meglio per essere al massimo della loro bellezza ed eleganza. Meredith McCall sembra decisamente divertita nel vedere come suo figlio, Philip Grant, già uno dei migliori hacker della Nazione, si senta a disagio in smoking e non abbia voluto rinunciare ai suoi abituali occhiali neri. Kathy stringe la mano di Joanna e Pepper ha preso in braccio il piccolo Andy.

            Entrano tutti nell’atrio della grande villa di Southampton dove Tony ha vissuto per la maggior parte della sua vita e che ora appartiene a Morgan. Un efficiente maggiordomo li scorta sino alla sala da pranzo dove altri invitati, tra cui il figlio di Morgan, Arno, sua madre ed il suo attuale marito.

-Benvenuti a questa riunione di tutta la famiglia Stark.- li saluta Morgan.

            Speriamo di sopravvivere alla serata, pensa Tony sospirando.

 

 

EPILOGO DUE

 

 

            In una fortezza in Mongolia il Mandarino sorride. Il primo test è andato benissimo. Ora è venuto il momento del passo successivo, dopodiché il Mondo avrà buone ragioni per tremare al suono del suo nome.

 

 

FINE PRIMA PARTE

 

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

            Pochissime note anche stavolta, giusto un paio di precisazioni:

1)       Si può dire che questo è stato un episodio quasi tutto dedicato a War Machine, ma era necessario per riallinearsi gli eventi successi dall’uscita dell’ultima storia di questa serie e comunque non sarà certo l’ultima volta. Dopotutto Jim Rhodes ed il suo alter ego in armatura sono legittimi protagonisti del nostro serial.

2)       A livello di continuità, quest’episodio si collocano, per quanto riguarda le imprese di War Machine in Africa, prima di Vendicatori #70. Per quanto riguarda il resto della vicenda, immediatamente dopo Vendicatori #73.

3)       Vi avevo promesso una riunione di famiglia degli Stark e ne avete avuto solo un assaggio. Nel prossimo episodio ne vedrete di più, ve lo prometto… ma non so se ne sarete soddisfatti.

Nel prossimo episodio vedremo altre novità sul piano del Mandarino ed altre interessanti cosette. State sintonizzati, mi raccomando.

 

 

Carlo



[1] Se non capite questo riferimento, vuol dire che non avete letto Vendicatori #71/73. Vergogna, che state aspettando?

[2] Chi sono costoro? Per saperlo dovete necessariamente leggere Vendicatori #71/73 e voi vi ostinate ancora a non farlo? Doppia vergogna. -_^

[3]Nell’intervallo tra Iron Man Vol 1° #325 (In Italia su Iron Man & I Vendicatori #14) e Iron Man Vol 3° #1 (IM&V #31).